A seguito del dibattito “vivere il precariato all’Università di Ferrara” sono necessarie riflessioni rispetto riforme annunciate e diritti negati.


Il tema del precariato nell’Università italiana è centrale in ogni riflessione politica sul futuro. Non è più sostenibile ignorare la realtà di decine di migliaia di ricercatori, assegnisti, dottorandi, collaboratori e docenti a contratto che portano avanti con dedizione e sacrificio l’attività scientifica e didattica nelle nostre università senza alcuna certezza sul proprio futuro professionale e con retribuzioni non consone.


Il DDL della ministra Bernini apre una riflessione necessaria e solleva interrogativi profondi sulle sue reali intenzioni. Il provvedimento si propone di ridurre il precariato, ma paradossalmente lo aumenta introducendo una sovrabbondanza di contratti a tempo determinato, che si aggiungono a quelli esistenti. Questo aggraverà le condizioni dell’università pubblica e la conseguente fuga di ricercatori e di figure fondamentali per lo sviluppo del paese: una “emorragia”.


Per affrontare davvero il problema servono atti di coraggio: stabilizzazione dei precari, investimenti pubblici massicci e strutturali, trasparenza nel reclutamento, riconoscimento del lavoro didattico e scientifico. Serve una visione che restituisca centralità all’università pubblica come motore del pensiero critico, della formazione democratica e dell’innovazione.
Il DDL Bernini, in assenza di questi elementi, rischia di essere solo l’ennesima operazione di maquillage istituzionale, che non affronta il nodo alla radice: l’inaccettabile normalizzazione del precariato come condizione di accesso alla carriera accademica.

E su questo, la politica ha il dovere di interrogarsi, di ascoltare chi vive questa realtà ogni giorno, e di costruire un’alternativa concreta, giusta e lungimirante.


La ricerca e la formazione sono i pilastri su cui si regge ogni società capace di immaginare e costruire il proprio futuro. In un’epoca segnata dall’incertezza, dalla crisi climatica, dalle trasformazioni tecnologiche e geopolitiche, l’università deve essere un motore strategico di trasformazione sociale e di progresso.